Eleonora Scholes, 49 anni, è una giornalista russa esperta di vino con più di venti anni di esperienza, premiata per la sua attività professionale. Dal 2012 pubblica su spaziovino.com, il primo sito in lingua russa dedicato ai vini italiani e allo stile di vita del nostro Paese. Eleonora Scholes è anche ambasciatrice dei vini delle Langhe (Barolo e Barbaresco). Ha contribuito alla redazione dei testi della guida internazionale di Hugh Johnson, best seller del settore. È anche coautrice di parecchi libri sul vino, il più recente ha come titolo “Aperitivo, l’Happy Hour italiano” pubblicato nel 2022.
Claudia Stern, 56 anni, è una giornalista esperta di vino. Scrive per Vinum, una delle maggiori riviste in lingua tedesca dedicate al mondo del vino. È anche titolare della società Wine & Glory, agenzia per la promozione e il commercio del vino nonché per l’organizzazione di eventi. È stata insignita di diversi riconoscimenti: negli anni ‘90 Miglior sommelier della Germania – Trofeo Ruinart; nel 1991 Sommelier dell’anno Guida Gault Millau; nel 2000 Vincitrice dell’Hennessy Trophy; dal 2018 Culinary Cologne Ambassador; lavora per la Service design & Consulting, società dedicata al mondo dell’ospitalità e del vino; svolge anche attività PR e social media manager.
Abbiamo intervistato Antony Rose, uno dei giudici della terza edizione di Sud Top Wine, noto come critico di vini e sakè che collabora con diverse testate tra cui Decanter e The World of Fine Wine.
Ci racconti qualcosa di lei: come è diventato un esperto di vino e uno scrittore di vino? Nel 1986 sono diventato corrispondente per il vino del nuovo quotidiano nazionale inglese, The Independent, dopo aver vinto un premio di scrittura sul vino in un giornale domenicale, The Observer. Prima di allora facevo l’avvocato, ma ho deciso che era arrivato il momento di trovare un lavoro fisso. Ho lasciato l’Independent nel 2016 dopo la sua messa online (mi piace la carta stampata) e da allora ho scritto due libri, Sake and the Wines of Japan (sono un fanatico del sake) e Fizz! Champagne e vini frizzanti del mondo. Sono membro fondatore della Wine Gang, scrivo anche per The World of Fine Wine e Decanter Magazine e negli ultimi tre anni ho presieduto la giuria del Sud Italia per i Decanter World Wine Awards.
Gli inglesi conoscono abbastanza il vino del Sud Italia? Se sì, qual è secondo lei il più popolare? E perché? Bella domanda. No, non credo che gli inglesi conoscano molto i vini del Sud Italia. Quando pensano al vino italiano, la maggior parte dei consumatori che conoscono i loro vini tende a pensare ai cosiddetti “classici” del Piemonte, della Toscana e, in misura minore, del Veneto. I consumatori meno abbienti si orientano in genere verso nomi come Pinot Grigio, Soave, Valpolicella, Frascati, Chianti e Lambrusco. Nel Sud Italia, l’Etna sta iniziando a diventare più conosciuto e alcuni marchi hanno probabilmente una certa risonanza tra gli addetti ai lavori, ad esempio Feudi di San Gregorio, Mastroberardino, Planeta, Donnafugata, Regaleali, ma probabilmente i vini più popolari sono Negroamaro, Nero d’Avola e Primitivo, con il Fiano che si vende abbastanza bene anche nei supermercati.
Come hanno influito sulle importazioni di vini italiani le nuove norme sul traffico di merci tra UE e Regno Unito previste dall’accordo Brexit? Secondo le mie fonti, ovvero gli importatori di vini italiani, la spedizione delle merci richiede almeno una settimana in più ed è più costosa a causa delle dichiarazioni di esportazione e importazione che devono essere compilate (120-150 sterline per ordine, quindi più costoso per i piccoli produttori che spediscono un pallet o giù di lì). C’è anche un problema di etichettatura: il Defra (il Dipartimento per l’Ambiente, l’Alimentazione e gli Affari Rurali) non ha ancora definito quali saranno i requisiti per le etichette dei vini importati, nonostante le nuove regole entrino in vigore dal 1° ottobre.
La sua percezione del vino del Sud Italia è cambiata dopo aver partecipato come giudice alla terza edizione di Sud Top Wine? Se sì, ce lo vuole dire? Oltre al giudizio in sé, uno dei grandi vantaggi di giudicare la terza edizione di Sud Top Wine è stata l’opportunità di uscire, in cantina o al ristorante, e giudicare il vino (ok bere i vini) con il cibo. Questo aspetto del vino del Sud Italia, il suo naturale abbinamento con diversi tipi di cibo, dal pesce alla carne, alle verdure, alla pizza e alla pasta, mostra davvero il vino del Sud Italia al suo meglio. Naturalmente, durante il processo di valutazione ho imparato molto sulla versatilità e sulla grande varietà dei vini del Sud Italia e sul numero impressionante di varietà di uve locali.
Quale vino del Sud Italia avete in cantina? La risposta a questa domanda è troppo breve, ma in parte è dovuta al fatto che un numero limitato di vini del Sud Italia si presta a essere conservato a lungo. Di base ho un Etna Bianco Contrada Villagrande del 2017. Questo vino ha vinto un trofeo ai Decanter World Wine Awards due anni fa e quindi ho deciso di acquistarne una cassa – senza rimpianti. Ho anche ordinato alcuni rossi del 2019 e bianchi del 2020 della Tenuta Terre Nere e sto aspettando pazientemente di riceverli. Potrebbero non rimanere a lungo nella mia cantina.
Colangelo & Partners è una delle agenzie di pubbliche relazioni più famose degli Stati Uniti. È composta da un team internazionale di professionisti del vino e degli alcolici, che si occupano di promuovere il mercato per i marchi di alta gamma che vogliono costruire il loro business negli Stati Uniti e oltre.
Colangelo & Partners ha creduto fin dall’inizio nell’importanza di valorizzare la ricchezza dei territori del Sud Italia e dei loro vini, e da due edizioni sostiene le attività del concorso Sud Top Wine.
Abbiamo intervistato Gino Colangelo, amministratore delegato di Colangelo & Partners, sui vini italiani e del Sud Italia e sulle loro attività di promozione negli Stati Uniti. Ecco cosa ci ha detto.
Qual è la percezione dei vini del Sud Italia negli Stati Uniti?? I bevitori americani “esperti” amano i vini del Sud Italia per la loro diversità e per il rapporto qualità/prezzo. I bevitori meno informati pensano che il vino del Sud Italia sia a basso prezzo e ben fatto, ma non hanno un grande apprezzamento per i produttori di proprietà che producono vini di alta qualità. Alcune denominazioni – la Sicilia DOC, ad esempio – stanno facendo un ottimo lavoro di promozione presso gli americani, facendo conoscere i grandi vini del Sud Italia anche ai bevitori occasionali. Ci sono anche produttori di spicco, soprattutto campani e siciliani, che stanno facendo conoscere i loro vini e le regioni del Sud Italia attraverso le loro attività di marketing e comunicazione. Ma c’è ancora molto lavoro da fare.
In termini di importazioni, in che posizione si trovano oggi i vini italiani rispetto agli altri vini europei? L’Italia è ancora leader tra i vini importati negli Stati Uniti, con circa il 33% di quota di mercato in volume. Questo numero si è mantenuto costante negli ultimi anni. Ma la concorrenza per i vini italiani è molto forte, sia da parte di Paesi europei come Francia, Spagna e Portogallo, sia da parte di altre regioni vinicole (ad esempio il Sud America) e Paesi (come la Nuova Zelanda).
Pensa che ci sia un potenziale di crescita nel consumo di vini italiani e del Sud Italia negli Stati Uniti? Se sì, come spiega il crescente interesse per categorie poco conosciute come queste? C’è molto spazio per la crescita, soprattutto per quanto riguarda i vini a partire da 15 dollari, che sono quelli in cui il mercato statunitense sta crescendo più rapidamente. Gli americani vogliono scoprire nuove denominazioni di vini italiani provenienti da regioni meno conosciute come la Puglia e la Calabria. Man mano che l’Italia meridionale cresce in termini di destinazione turistica, un numero maggiore di americani scoprirà i grandi vini di queste regioni. È molto importante per le aziende agricole acquisire informazioni (ad esempio, indirizzi e-mail) dai visitatori americani e comunicare con loro una volta tornati negli Stati Uniti. Le comunicazioni digitali e l’e-commerce offrono nuove opportunità ai produttori di piccole denominazioni per coinvolgere i bevitori di vino americani e costruire il proprio marchio.
Cosa fa Colangelo&Partners per diffondere e valorizzare l’importanza dei territori del vino italiano e quanto ritiene che una comunicazione mirata e corretta sia importante per trasmettere adeguatamente la ricchezza di questi territori e facilitare così le vendite sul mercato statunitense? Non esiste una risposta univoca alla costruzione di un marchio per i vini pregiati negli Stati Uniti. Un solido piano di relazioni con la stampa, che includa il lavoro con i critici di settore e la stampa lifestyle, è fondamentale. Anche gli eventi sono molto importanti, sia a livello commerciale che di consumatori. Avere pagine attive sui social media – Facebook e Instagram, in particolare – è un prerequisito, così come un sito web informativo e aggiornato. È importante anche interagire con i “gatekeepers” (acquirenti al dettaglio, sommelier, educatori) che decidono quali vini finiscono sugli scaffali dei negozi e sulle carte dei vini dei ristoranti. Naturalmente, anche visitare gli Stati Uniti e lavorare con la propria rete di importatori e distributori è fondamentale. Costruire un marchio negli Stati Uniti è un grande investimento di tempo e denaro, ma i frutti sono notevoli per le aziende vinicole che fanno i giusti investimenti e seguono una strategia a lungo termine.
Quale vino del Sud Italia preferisce bere? Mi piace bere molti vini del Sud Italia. Adoro molte varietà di vini bianchi corposi come il Greco di Tufo e il Cataratto. Amo anche i vini rossi grandi e complessi come il Taurasi e l’Aglianico del Vulture. Ce ne sono troppi da elencare!
Quando parliamo di vecchie vigne e del loro valore ricordiamo spesso la qualità del vino che se ne ottiene, ma dimentichiamo spesso l’importanza e la ricchezza di questa eredità per la biodiversità. Oggi più che mai occorre fare rete non solo per proteggere questa categoria ma anche per darle il giusto valore nel mercato. Abbiamo intervistato Sarah Abbott, Master of Wine, promotrice del progetto Old Vine Conference.
Da dove nasce l’idea della Old Vine Conference? Sono da sempre interessata alla cultura, al patrimonio e all’umanità del vino. Riguardo alla Old Vine Conference, è stata una scoperta inattesa. La mia passione si è riflettuta nel lavoro svolto sia con le regioni vinicole italiane sia con i Paesi vinicoli emergenti come la Georgia, la Turchia, che hanno una cultura molto antica. Volevo condividere questo interesse e pertanto ho iniziato a collaborare con i miei attuali partner: Leo Austin e Alun Griffiths, Master of Wine come me. Questo movimento che sottolinea l’importanza del patrimonio dato dalle vecchie viti, è attivo ormai da 20 anni. Jancis Robinson MW, tra i più importanti influencer di vino nel mondo, per esempio, da quasi 20 anni scrive di questo, citando anche del progetto sudafricano (South African Old Vines project), nato allo scopo di mettere sotto un’unica categoria i vini prodotti da vecchie viti, attraverso l’ottenimento di una certificazione; e altre organizzazioni come Barossa Old Vine Charter, Save the Old negli Stati Uniti, Old Vine Collective in Cile. Quello che stiamo facendo quindi non è qualcosa di nuovo, nel senso che il mondo del vino già accetta il concetto delle vecchie viti come ricchezza dal punto di visto dell’eredità, del terroir, di interazione con il luogo e le pratiche tradizionali, nonché di una sorta di profonda saggezza agricola. Ma quello di cui mi sono resa conto durante i miei viaggi nel mondo per lavoro, è stata la moltitudine di persone influenti che lavorano su incredibili progetti per la protezione e rigenerazione delle vecchie viti, per mantenere la prosperità e la sostenibilità della comunità agricola. Molte di queste persone non conoscevano l’esistenza l’una dell’altra.
Dunque, qual è lo scopo di The Old Vine Conference? Il progetto vuole essere una connessione tra questi individui e organizzazioni. Perché il paradosso dei grandi vini provenienti da vecchie vigne è che, da una parte ci sono alcuni dei più grandi produttori di vino del mondo che credono fermamente in questo e ottengono grandi riconoscimenti. D’altra parte, per la maggior parte dei consumatori, il termine “vecchia vite” non significa nulla. Senza una categoria è difficile per questi vini ottenere il giusto valore nel mercato. Uno degli obiettivi, pertanto, è amplificare il grande lavoro fatto sulla diffusione del messaggio circa l’importanza del patrimonio della vecchia vite e condividere le “best practice”. L’altro obiettivo è quello di coinvolgere produttori, viticoltori, grandi aziende, così come importatori e distributori nel mercato, che possano parlare di questa categoria di vino e implementare nuove strategie. Più diffondi questa categoria nel mercato, più è facile ottenere credibilità e valore. Il progetto sudafricano, per esempio, ha cambiato la dinamica del mercato, ottenendo un aumento medio del valore dell’uva e del prezzo pagato ai viticoltori. Il problema principale non è la resa bassa di questi vigneti, ma una sorta di intimità nella conoscenza del prodotto. Alla nostra prima conferenza abbiamo avuto con noi Marco Simonit, fondatore della Scuola di Potatura della Vite Simonit&Sirch Vine Master Pruners, che ha spiegato che vecchia vite non significa automaticamente, per un agricoltore, sacrificare metà della resa. Per garantire longevità alla vite, bisogna rendersi conto che si tratta di una relazione tra coltivatori e la vite stessa, lunga una vita. Le ricompense sono alte perché le vecchie viti hanno un’interazione genetica con l’ambiente. Con il tempo diventano altamente adattive, resilienti, dando profonda espressione del terroir.
Pensi che il vino prodotto da vecchie vigne abbia un vantaggio sugli altri e perché? Sì, può averlo. Ovviamente non è soltanto questione della vigna vecchia ma anche del vitigno piantato in quel determinato luogo e il suo adattamento all’ambiente circostante. Il vigneto tra l’altro, deve essere sano e curato e il vino deve essere fatto bene, professionalmente. Tutte queste cose devono essere in equilibrio. Quello che trovo nel vino prodotto da vigne vecchie è un tipo di profondità che non riguarda necessariamente la concentrazione, ma riguarda le sfumature che puoi riscontrare al palato. È un vino ricco di sentori, simbolismo ed eredità. Inoltre, è necessario del sacrificio per mantenere queste viti nel terreno e uno sforzo da parte del produttore, che investe davvero nel buon vino. Penso che questa sia una delle partnership più intime tra la natura e gli uomini. Non si fanno vini necessariamente eccezionali, si fanno forse vini unici, anche grazie alla passione delle persone. Dalle ricerche emerge che in questi vini il frutto è spesso molto ben bilanciato, e nelle annate molto calde, ad esempio, l’acidità viene comunque mantenuta. Sappiamo che i vini più famosi al mondo sono ottenuti da vigne vecchie ma spesso viene fatta un’affermazione secondo cui le vecchie vite hanno resa e concentrazione estremamente basse. In realtà la ricerca suggerisce che c’è un difetto di resa moderato ma se le viti sono in salute non c’è motivo per cui perdano. Si tratta più di composizione, equilibrio e frutta.
Pensi che il cambiamento climatico intaccherà le vigne vecchie o le loro radici forti costituiscono un punto di forza? Il tema del cambiamento climatico ha toccato in modo del tutto particolare il tema delle vecchie viti. Riguarda l’aspetto genetico di queste e ad esempio in Spagna c’è un fantastico progetto ad opera di Torres, produttore di una delle cantine più importanti e storiche della Spagna, nonché uno dei quattro sostenitori ad abbracciare la necessità da parte del settore di agire. Torres ha iniziato ad identificare e recuperare vecchie varietà dimenticate, ormai inutilizzate e non più commercializzate. Ha piantato e prodotto vini da queste antiche varietà recuperate, e ciò che è stato scoperto è che queste si sono rivelate incredibilmente importanti nell’aiutare a riequilibrare la composizione dell’uva durante i cambiamenti climatici. Tali cambiamenti, specialmente in Spagna, sono legati alle temperature estreme e alla siccità, e determinano la preoccupazione circa il mantenimento della freschezza e della vitalità dei frutti. Questi vitigni antichi si comportano brillantemente e quando maturano mantengono la loro acidità, freschezza e colore. Quindi penso che probabilmente uno degli aspetti più importanti delle vecchie viti quando si parla di cambiamenti climatici è che questi costituiscono un’arma, una sorta di assicurazione della biodiversità.
In Europa o nel mondo quali sono i territori dove le vecchie vigne si esprimono al meglio nel suolo? Penso che ogni parte d’Europa e del mondo abbia il potenziale per far risplendere le proprie vigne vecchie, permettendogli di esprimere la qualità e quel legame profondo tra cultura e tradizione. Direi che in Europa non c’è ancora la giusta attenzione al tema ed è un paradosso perché altri paesi hanno organizzazioni intente a sostenere e commercializzare queste viti. I leader del movimento della vecchia vite appartengono infatti al nuovo mondo: Sud Africa, California, Australia, Cile. E questo nonostante in Europa, in paesi come Spagna, Italia, Francia, Portogallo, abbiamo una ricchezza di viti antiche incredibile, ma non ci si è ancora aggregati per creare qualcosa di impatto come ha fatto nel resto del mondo. Quindi, piuttosto che parlare di quale parte d’Europa sia la più adatta per produrre del buon vino proveniente da vecchie vigne, dobbiamo parlare del potenziale sprecato. In Italia, si è talmente abituati a vivere accanto a cose incredibilmente belle e antiche, ad una civiltà millenaria, che questa ricchezza aspetta soltanto di essere comunicata. L’Italia potrebbe davvero prendere il comando; ha tante bellissime vecchie viti ma ne sta anche perdendo molte perché l’economia nella moderna industria del vino non agevola il recupero e ripristino dei vecchi vigneti. Attualmente l’Europa non è incentivata a concentrarsi sul patrimonio dato dai vigneti antichi. Un grande esempio di agricoltura rigenerativa, è quello di Salvo Foti, con il suo progetto sull’Etna. Mi piacerebbe vedere anche in Italia l’equivalente del progetto nato in Sud Africa.
Come raccontare a un un wine lover il vino di una vecchia vigna? Penso che ci siano 3 aspetti principali su cui concentrarsi. Il primo è la qualità, abbiamo un ottimo vino da vigne vecchie, vini dal carattere unico, di altissima qualità, di grande profondità e di grande unicità al palato. Il secondo aspetto è la sensazione che stai “bevendo la storia”, è un senso di connessione culturale nonché l’espressione di un luogo unico. Allo stesso modo in cui le persone apprezzano le tradizioni gastronomiche di un determinato paese o la musica o gli artisti di un paese. Il vino è una parte del patrimonio di un paese e questo è un concetto molto potente. Il patrimonio vitivinicolo antico combina gli aspetti storici con quelli agricoli. Per finire, il terzo aspetto su cui concentrarsi è che si tratta di un tipo di agricoltura rigenerativa. Ciò significa che ti trovi immediatamente di fronte ad un approccio più ecologico e più olistico alla viticoltura. Perché affinché questi vigneti sopravvivano altri 50 o 60/70 anni, bisogna necessariamente puntare sulla sostenibilità.
Vorresti indicarci 9 vini che dal tuo punto di vista, esprimono meglio il concetto di vecchia vigna? Certo. Ci sono grandi vini prodotti da vecchie vigne!
Il Soave Classico “Contrada Salvarenza Vigne Vecchie” della cantina Gini – da vigne di più di 160 anni, alcune non innestate. Un vino sensazionale. Ho avuto una magnum di 20 anni fa ed il vino era semplicemente etereo.
L’Etna Rosso “Vinupetra” della cantina I Vigneri – vecchia vite di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio del progetto ispirazionale di recupero delle vigne e degli antichi terrazzamenti ad opera di Salvo Foti.
“Las Tinadas Airén” della cantina Bodegas Verum da La Mancha, Spagna – da viti ad alberello di 80 anni, un bianco minerale, brillante che sta trasformando la reputazione di La Mancha.
“El Jardín de las Iguales”, di Bodegas Frontonio, da Aragona, Spagna – incredibile Grenache da viti piantate nel 1918. Intenso ma audace, traboccante di vitalità. Prodotto dal Master of Wine Fernando Mora. Anche Macabeo Old Vine è incredibile.
“She’s Electric Grenache”, della cantina Thistledown, McClaren Vale, Australia – la vecchia vite di Grenache diventa eccezionale e fine. Questo ne è un grande esempio. Ancora una volta prodotto da un Master of Wine, Giles Cooke, da tanto tempo promotore delle vecchie viti.
“The Whole Shebang, Cuvée XIII” della cantina The Bedrock Wine Company, California, USA – un blend gloriosamente sontuoso di Zinfandel da vecchia vite e molte altre varietà. Un esempio fine di come le vecchie viti determinino una ricchezza vivace al vino, senza appesantire. Prodotto da un altro MW – Morgan Twain Peterson.
L’Assyrtiko della cantina Argyros Estate, Santorini, Greece – da vigneti piantati nel 1800, la fragrante vitalità dell’Assyrtiko assume profonda ricchezza da queste incredibili vecchie viti, allevate nelle caratteristiche forme circolari.
“Meskheti”, della cantina Natenadze Vineyards, in Georgia. Da vitigni recuperati, che si pensa siano stati impiantati nel 1600, Giorgi Natanedze realizza piccole quantità di un blend rosso delicato ma preciso, da varietà precedentemente sconosciute o ritenute perdute. Quasi impossibile da ottenere, ma se riesci è come bere un pezzo di preistoria!
“Fitou”, del Domaine Jones in Languedoc, France: vibrante ma ricca la classica appellation dalle preziose vecchie viti dell’inglese Katie Jones. Incredibile qualità a meno di 20 euro.
Quale canale o mercato può recepire meglio il concetto di vecchie viti? Penso che tutti i canali possano recepire e spiegare bene il concetto, ma si tratta di un concetto nuovo di un vino premium, quindi, ad esempio, nel Regno Unito, il canale Horeca può funzionare meglio. E’ un canale privilegiato per poter raccontare una storia e, lo sappiamo, la gente è sempre alla ricerca di storie. Penso sia molto importante connettersi e parlare con figure influenti nel mercato. E ritengo che sia importante anche concentrarsi sul settore del vino indipendente, su enoteche indipendenti, le quali sono molto abili nella vendita dei vini e nel raccontare storie per il mercato premium e online. Inoltre, penso che il marketing diretto al consumatore e la formazione del mercato siano estremamente importanti. Ogni canale ha pertanto l’opportunità di parlare e commercializzare questa nuova categoria. Ed è un vantaggio per tutti perché, se commercializzi e ne parli bene, sostanzialmente coinvolgi i tuoi clienti in una categoria dal valore più elevato, facilitando così anche la redditività dei coltivatori.
Sarebbe utile avere un marchio per distinguere il vino da vecchie vigne? C’è la necessità di tutelare questa categoria? Sì, penso che possa essere molto utile anche se non facile ma, quando ci riesci, il risultato è ottimo. Il punto di riferimento è davvero il South African Old Vine Project. Ha iniziato con 8 membri e oggi consta di 80 produttori. Quello che fanno i produttori è richiedere la certificazione per i loro vigneti antichi. Questi vengono così datati, valutati e devono soddisfare i criteri del progetto. Ricevono quindi il sigillo Certified Heritage Vineyards e possono utilizzarlo sulle loro etichette. I consumatori hanno, pertanto, associato il CHV ad un valore, una qualità e una sostenibilità più elevati. Non è facile ottenere tale certificazione ma bisogna pur cominciare.
“Volevo perseguire il mio sogno nel mondo del vino, che per me era molto specifico, diventare Master of Wine. Perché arriva un momento nella tua vita in cui senti di dover affrontare una grande sfida o almeno provare, perché se non provi non hai alcuna possibilità di successo”. Abbiamo intervistato Yiannis Karakasis, Master of Wine, ma anche educatore per il WSET, blogger e consulente.
Raccontaci qualcosa di te, come hai iniziato la tua carriera nel campo del vino? Come e quando sei diventato MW? La storia della mia carriera nel vino è piuttosto particolare, perché sono stato nella Forza Navale Greca per 21 anni, ero un ufficiale della marina. Contemporaneamente, ho iniziato a studiare per il WSET. Nel 2010 ho preso il diploma ed ero anche l’ufficiale in comando della squadra elicotteri, due mondi quindi completamente diversi. A quel tempo, mi trovavo di fronte ad un dilemma perché volevo perseguire il mio sogno nel mondo del vino, che per me era molto specifico, diventare Master of Wine. Arriva un momento nella tua vita in cui ti senti di affrontare una grande sfida o almeno provare, perché se non provi non hai alcuna possibilità di successo. Ma sapevo che se volevo entrare a far parte del mondo del vino dovevo studiare e lavorare molto. Ho lasciato quindi la marina militare, allontanato i miei amici e ho iniziato ad impegnarmi per raggiungere il mio obiettivo. Ho iniziato nel 2011 e ho terminato il Master of Wine nel 2015. Ho impiegato 4 anni per ottenere il riconoscimento. È sicuramente difficile ma mi reputo una persona con grande disciplina, ben organizzata, che punta dritto all’obiettivo.
Sappiamo che ti cimenti in diverse attività professionali in questo momento. Quali? Dopo essere diventato MW ho dovuto essere selettivo circa le cose da fare. Oggi tengo corsi con il WSET a Cipro; conduco Masterclass in Grecia e all’estero; ho un blog che è la mia voce (www.karakasis.mw), dove scrivo ogni settimana sul vino greco, ma anche sul Piemonte e mi piacerebbe scrivere articoli sulla Sicilia e sull’Etna. Sono anche consulente per una catena di hotel a Santorini e per alcuni ristoranti, uno dei quali a Londra. Inoltre, sono sempre molto interessato ai vini provenienti dall’estero. Mi piace viaggiare, scoprire e degustare nuovi vini.
Cosa è il concorso 50 Great Greek Wines? Lo scorso anno ho lanciato un concorso enologico rivoluzionario chiamato 50 Great Greek Wines (www.greatgreekwines.com). Per realizzarlo acquistiamo i campioni di tantissime cantine e solo 50 vini vengono premiati, il resto dei vini non viene comunicato. SI tratta di una degustazione alla cieca in cui i giudici non hanno molte informazioni sul vino, come la regione di provenienza o il prezzo. Vogliamo che tutti i vini partano dallo stesso punto. Cerchiamo di garantire il massimo grado di trasparenza. L’anno scorso, nonché il primo anno del concorso, abbiamo avuto 421 vini partecipanti, nonostante il Covid-19, provenienti da 140 cantine: un gran numero considerato che tutte sono orientate alla qualità. I vini premiati vengono poi promossi, non solo in Grecia, ma presentati anche a professionisti del settore all’estero, ad esempio a Madrid, in Polonia a Bordeaux. L’idea è che promuovendo alcuni dei migliori vini greci, otterremo sempre maggiore attenzione per tutto il vino greco. 50 Great Greek Wines è un passo per promuovere la grandezza dei vini greci. Il fatto è che la performance dei vini greci è fantastica, sono molto interessanti, ma ciò che manca loro è la reputazione, la storia, come può avere invece un buon Chablis. Santorini è una rivelazione recente. Come competere quindi con vini che per secoli hanno fatto la storia? Quello che si deve fare è trovare le persone giuste e presentare il meglio della Grecia. E devo dire che il feedback sul concorso è stato molto positivo.
Cosa apprezzi dell’Italia e quali sono le regioni vinicole più interessanti del mondo? Penso che sia sempre una questione di equilibrio. Nutro grande rispetto per le regioni vinicole classiche come Bordeaux, Borgogna, Barolo, Barbaresco, Montalcino, Chianti, ma guardo sempre alle novità, alle regioni emerse di recente come l’Etna, Cipro, Israele, alla ricerca quindi di nuovi messaggi comunicare. È stata una rivelazione per me quando ho visitato la parte settentrionale del Piemonte, ho scoperto lì nuove sfumature del Nebbiolo, più friendly in termini di prezzo ma ugualmente emozionante in termini di terroir. Ho ancora voglia di imparare; ogni giorno impariamo. Puoi avere un’idea generale ma nessuno delle persone che conosco può definirsi uno specialista in molte regioni. Non si smette mai di imparare e questa è l’idea che sta dietro al MW secondo me. L’Italia ha un posto speciale nel mio cuore, perché la mia famiglia la ama. Penso sia un paese benedetto, e che abbia tante cose in comune con la Grecia, come la mentalità, il carattere mediterraneo, ma anche la storia e il futuro. Penso che entrambi i paesi abbiano un forte legame con il passato e il vino ha sempre fatto parte della nostra cultura.
Cosa ne pensi della Grecia e del Mediterraneo? Quali sono i punti di forza e di debolezza di questi vini? Per quanto riguarda i vini greci, penso che il grande vantaggio siano le varietà autoctone, abbiamo più di 220 varietà autoctone e la maggior parte dei nostri vigneti sono piantati con queste. Il grande punto di forza di questi vini è la combinazione di freschezza, acidità e mineralità e alcool non elevato nonostante il clima generalmente caldo. Cerco sempre di comunicare agli amanti del vino che degustare i vini prodotti da Assyrtiko, ad esempio, trasporta immediatamente nel luogo di origine. E anche se parliamo di vinificazione troviamo i punti di forza: i produttori di vino sono artigiani, piccoli produttori che cercano di fare grandi vini. Creta, Peloponneso, Cefalonia, Grecia centrale sono le regioni più importanti. Ci sono luoghi in cui possiamo trovare vini molto interessanti. E la cosa più interessante è che il vino greco è tutto da scoprire, ancora sottovalutato. Puoi trovare vini fantastici che non costano molto. Santorini, ad esempio, ha alcune delle viti più antiche del mondo (200-300 anni), piantate in terreni vulcanici, su suoli speciali, dove la filossera non può sopravvivere a causa del basso contenuto di argilla. Le rese per ettaro sono basse, circa 15-20 ettolitri per ettaro, quindi la produzione è bassa. Il sistema di allevamento è chiamato canestro (basket) che protegge la vite dal vento, che potrebbe altrimenti essere molto aggressivo. Queste viti sono piantate sulle pendici di uno dei vulcani più pericolosi dei nostri tempi. Penso che sia una storia davvero unica.
Yiannis Karakasis
Cosa pensi che cambierà dopo la Brexit nell’approccio al vino? Gli inglesi berranno più vini inglesi? Il cambiamento climatico determinerà una nuova interessante prospettiva per la produzione di vino nel Regno Unito? La Brexit rende le cose molto complicate nel mercato del vino. Anche inviare campioni nel Regno Unito è diventato difficile, i dazi e le tasse sono costosi. Tutto è molto complicato, ma tradizionalmente il mercato britannico è abbastanza forte, non credo che berranno meno vino proveniente dall’estero, ma penso che il vino inglese inizierà ad emergere a causa del cambiamento climatico, e soprattutto che alcune annate potranno essere molto interessanti nel sud dell’Inghilterra, questo potrebbe essere un punto di forza del vino inglese. Alcune aziende dello Champagne stanno infatti investendo nel sud dell’Inghilterra. Penso che nei prossimi 5 anni vedremo novità provenienti dal Regno Unito, finora conosciamo alcuni ottimi produttori e alcuni ottimi spumanti, come Hambledon e Nyetimber. Ho degustato alcuni vini fermi ma ovviamente l’annata è estremamente importante nel Regno Unito. Alcune annate sono ancora troppo fredde e questo potrebbe essere un problema. Pensiamo che a fine aprile a Londra nevicava. Quindi il tempo è incostante. Il cambiamento climatico determinerà la ricerca di nuovi luoghi, di una nuova viticoltura. La previsione per il futuro (per i prossimi 15 anni) non è ottimistica nemmeno per Paesi come Grecia e Italia, ma alla fine noi abbiamo un vantaggio strategico molto importante. Le nostre varietà autoctone sono ben adattate; possono sopravvivere perché si sono adattate in quel luogo nel tempo. Ciò significa che è importante preservare il nostro patrimonio, le varietà autoctone e le vecchie vigne. Per me una delle cose più importanti ed emozionanti nel mondo del vino sono le vecchie viti. Ho fatto delle degustazioni di vini prefillossera ed è una delle mie passioni.
Deduco dunque che tu sia un fan dei vini dell’Etna. Confermi? Sono certamente un grande fan dell’Etna e delle sue varietà autoctone come il Nerello Mascalese e il Carricante che, ad esempio, ha un carattere molto simile all’Assyrtiko, forse meno alcolico ma molto elegante, con la sua essenza e consistenza vulcanica e l’intensità del frutto. Questi vini si stanno evolvendo, regalando aromi e texture davvero distintivi e, naturalmente, sono molto versatili. Mi piacciono anche altre varietà siciliane come il Grillo e il Nero d’Avola. Penso che la Sicilia sia molto importante per la sua identità unica e speciale.
Quali sono i 3 migliori vini che hai degustato da quando sei diventato MW? Di solito non lo dico, ma farò un’eccezione per te. Il primo è Pomerol, Vieux Chateaux Certan 1947, è una bevuta che non posso dimenticare. Poi ce n’è uno italiano, anche se per l’Italia è difficile indicarne uno perché ho assaggiato dei Barolo davvero strepitosi. Si tratta di Borgogno Barolo Riserva 1974. Il terzo è dalla Grecia: Boutari Santorini 1989, che per me è stata una rivelazione. In genere, tendo ad andare a ritroso nelle annate per scoprire la massima complessità. Per quanto riguarda le nuove annate, posso dire che i vini di Pietradolce o Benanti sull’Etna siano favolosi.
Cosa ne pensi del primo Master of Wine italiano, Gabriele Gorelli? Sono felice e orgoglioso di Gabriele. Ho partecipato a molti bootcamp con lui. È sempre stato una persona molto concentrata, disciplinata, molto intelligente e che ha lavorato sodo. Sono davvero contento che l’Italia abbia finalmente un Master of Wine e soprattutto un MW come Gabriele. L’Italia ha molti grandi vini e penso che abbia bisogno di più di un MW. Sono sicuro che nei prossimi 2 anni emergeranno persone di grande talento.
Podcaster e imprenditrice ha organizzato un format che semplifica il processo di import-export negli Stati Uniti rendendolo veloce e sartoriale. Ecco come funziona.
Gli Stati Uniti rappresentano per l’Italia un mercato molto importante in termini di importazioni di vino. Il Bel Paese detiene, infatti, una quota di mercato sulle importazioni USA che si aggira intorno al 35%.
È per questo motivo che nascono nuove soluzioni per agevolare il processo di scambio tra l’Italia e gli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, sono caratterizzati dall’ormai obsoleto sistema di vendita basato sui tre livelli di produzione, importazione e distribuzione, chiamato three-tier system, che spesso non fa altro che rallentare gli scambi e rendere poco agile la vendita di vino ed alcolici.
A caratterizzare una svolta nel processo di import/export è il format messo a punto da Alexi Cashen, imprenditrice di San Francisco che, nel 2010, fonda Elenteny Imports, che punta ad offrire servizi molto avanzati di shipping e di compliances (l’aderenza alle norme durante lo sdoganamento, la tassazione, le assicurazioni etc), seguendo il cliente dalla fase della logistica dei prodotti fino al suo immagazzinamento e alla sua distribuzione, rendendo il processo di esportazione più veloce, customizzato e organico.
Alexi, sei una imprenditrice e podcaster. Qual è la tua storia, com’è cominciato tutto? “Ho sempre amato relazionarmi con gli altri sin da giovanissima e credo di avere un naturale spirito di leadership. La mia carriera nel mondo del vino è iniziata nel settore dell’hospitality, lavorando in Colorado e a New York City, dove ho trascorso 11 anni lavorando prima nei ristoranti e poi come wine supplier, nella vendita di vino. Nella mia carriera da imprenditrice Tim Elenteny, il mio attuale socio, è stato un mentore per me. Lavoravamo insieme per lo stesso importatore a New York, conoscevamo le dinamiche, sapevamo cosa poter migliorare per offrire dei servizi più efficienti ed essere competitivi nel settore della logistica, così è nata l’idea di creare il nostro personale business.”
Vorresti raccontarci qualcosa in più sul nuovo format di importazione (Elenteny Imports) e cosa fa esattamente? “La mia società, Elenteny Imports è nata nel 2010 con l’intento di aiutare importatori, cantine e distillerie a trasportare i loro marchi in tutto il mondo. Abbiamo cominciato dando supporto logistico e poi abbiamo ottenuto tutte le licenze per gestire il resto delle operazioni nel complesso sistema a tre livelli (three-tier system) tipico degli Stati Uniti, dove gli importatori di vino, birra o liquori si trovano effettivamente ad affrontare diversi ostacoli: valute, dogana, tasse e spedizione. Elenteny Imports, gestisce così tutti i dettagli dalla distribuzione ai retailers, supporto alla logistica, operazioni di back office e la consegna in modo che il cliente possa dedicarsi e concentrarsi su ciò che più conta: la vendita del prodotto. È questo che ci differenzia rispetto ai nostri competitor.
È un progetto ambizioso. Come è nato? Nel mio passato, ho avuto diverse esperienze nel mondo del vino e nel sistema di importazione tipicamente americano, per esempio quando lavoravo come wine supplier, e quindi per me e Tim era molto chiaro ciò che dovevamo fare, e volevamo farlo diversamente, offrendo un alto livello di customer service, competenza e supportare veramente le aziende e crescere. Prima di tutto, dunque, il servizio al cliente e poi la tecnologia. Abbiamo subito investito in sistemi informatici capaci di realizzare una piattaforma integrata che permettesse ai clienti di visualizzare in tempo reale ogni informazione richiesta, permettendo a ciascuno dei nostri partner logistici di superare tutto con velocità. All’inizio è stato difficile e sfidante, tra l’altro abbiamo avviato il nostro business nel 2010, all’indomani del crash economico del 2008. Abbiamo tutte le licenze a vendere a distributori di tutti i 50 Stati americani e anche licenza di distribuzione in 6 diversi Stati USA: NY, New Jersey, California, Colorado, Illinois and Washington DC. In questi Stati possiamo vendere direttamente a ristoranti e retailers. In questo modo le cantine possono utilizzare i nostri servizi per raggiungere quei mercati direttamente. In generale, l’unica cosa alla quale la cantina dovrà pensare è investire negli “ambassador”, noi penseremo a tutto il resto.”
Pensi che questo sistema centralizzato sia un po’ più agile per le aziende sia in termini di costo che di tempo? “Sì, il costo può essere competitivo per diverse ragioni: innanzitutto per i sei Stati in cui vengono distribuiti. Come accennavo, possiamo permettere alla cantina di vendere direttamente a ristoranti e retailers. E il grosso del margine di guadagno è proprio lì. Inoltre, la burocrazia nei 50 Stati è molto complessa ed ognuno ha le sue regole. Scegliendo Elenteny Imports possiamo pensare noi all’aspetto burocratico. In più i distributori non dovranno aspettare mesi perché magari non sono pronti a comprare, ma potranno farlo perché avranno la possibilità di acquistare quantità inferiori e con regolarità. Gestire i distributori, tra l’altro, richiede tempo e trasportare dall’Italia negli USA e poi ai magazzini dei distributori può richiedere mesi, perdendo così opportunità potenziali di vendita. Con Elenteny Imports, la cantina può evitare alcuni passaggi e spedire più frequentemente e in tempi stretti. La nostra piattaforma permette un approccio più umano alle aziende, che diversamente sarebbero perse nel gigantesco mercato americano. Ciò che ci proponiamo di fare è trovare per loro il modo migliore per entrare in questo ambiente competitivo, aiutandole a crescere.”
Alla luce di quanto finora detto, cosa rappresenta per te il vino italiano e cosa preferiscono bere gli americani? “Amo i vini italiani, ho visitato l’Italia e ho venduto in passato vini italiani e per me costituiscono una grande passione. Rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo, l’Italia è quella che esporta più vino negli USA, quindi noi crediamo che possiamo fare di più per gli importatori e per le cantine italiane. Non abbiamo molti dati relativi al consumo, quindi non posso dire con esattezza cosa prediligono gli americani. Abbiamo più che altro dati sulle spedizioni e sulle vendite. Posso dire che il volume dei vini italiani venduti negli USA è aumentato del 50% e penso che questo dato sia decisamente incoraggiante. In più, abbiamo spedito circa il 38% in più di vino italiano nel 2020 in tutti gli Stati Uniti. Tale incremento è un indicatore che determinerà una crescita anche nel 2021.”
Cosa sta succedendo in questo momento negli Stati Uniti nel mondo del vino? Come avete gestito il blocco delle esportazioni ed il lockdown determinato dal Covid-19? “La situazione è stata molto difficile per diversi business e per tantissime persone e posso solo ringraziare di essere in salute. Il nostro è uno dei settori maggiormente colpiti per via del blocco del turismo e la chiusura dei ristoranti. E questo ha reso quasi impossibile lavorare. Nonostante tutto mi sento estremamente orgogliosa del mio team e dei miei clienti per aver fatto di tutto per supportarci a vicenda, evitando di pressare o pretendere. C’è stata molta più connessione, ci siamo focalizzati sui reciproci bisogni anche se sembra paradossale considerato che l’unico contatto è stato su piattaforme quali zoom. Questo è quindi positivo.”
Quando pensi che si potrà ripartire? “Penso che il cambio dell’amministrazione presidenziale determinerà cambiamenti positivi. Molti stanno ricevendo i vaccini, però ciò che più importa è il business dei viaggi. Questo insieme al turismo costituiscono fattori trainanti. Se questo comparto non riparte, se il turismo non si risolleva e finché non si vedranno cambiamenti significativi in tal senso, il settore del vino non potrà rialzarsi veramente.”
Lo strumento del Podcast è sempre più utilizzato e sarà uno dei trend più importanti ed in voga del 2021. Ti andrebbe di raccontarci com’è nato il tuo Podcast? Sappiamo che sei stata ispirata dal business e mossa dal vino e che prediligi il racconto di personaggi femminili e le loro esperienze imprenditoriali. “Ho cominciato a fare podcast perchè appunto sta crescendo molto ultimamente e credo che si trasformerà in uno strumento utile a tutti i business. Prima o poi tutte le aziende lo adotteranno e ne usufruiranno, un po’ come avere l’account Linkedin o Facebook. È uno strumento che ci permette di raggiungere molte più persone. E’ utile a raccontare storie, intervistare i tuoi clienti, sperimentare modi diversi di dialogare. Ho lanciato il mio Podcast nel 2020, spinta dalla mia vena creativa. Quello che più mi ha colpito è il network che mi ha permesso di creare. Il Podcast ha l’enorme potere di attrarre persone nella mia rete di contatti. Inviare un’email, presentarmi e chiedere una call con un potenziale cliente non è intrigante o interessante come presentarmi con un Podcast ed invitare persone a partecipare allo show e raccontare il loro business. Tra l’altro dà maggiori benefici ad entrambe le parti: creo contenuti per il mio business ma anche per la persona ospite del mio show, che può in questo modo condividere e diffondere i contenuti nei suoi canali. E’ un modo per connettere più persone in una maniera più genuina e impattante e in più è anche molto divertente. Nutro interesse soprattutto nei confronti delle donne e della loro vita professionale nell’industria del vino. Le statistiche negli USA dimostrano che più del 50% dei business americani sono condotti da donne ma che meno dell’1% supera il milione in termini di valore economico. Questo per me è davvero un grande squilibrio. Voglio dare voce alle minoranze e provare così a colmare i gap relativi alle iniquità e diseguaglianze all’interno del mondo del vino negli Stati Uniti.”
I vini premiati con il concorso Sud Top Wine volano negli Stati Uniti.
Parte la fase 2 del concorso ideato da Cronache di Gusto. E cioè quella relativa alla promozione del vini premiati tra le oltre 500 etichette degustate e valutate da una commissione di grandi esperti (in quest’edizione Daniele Cernilli, il presidente e poi Enrico Donati, Erik Klein, Federico Latteri e Alessandra Piubello). Alcuni dei vini finiti sul podio voleranno negli Stati Uniti per una mission promozionale grazie a un accordo con Colangelo & Partners, importante agenzia di pubbliche relazioni a New York. I vini saranno così assaggiati da giornalisti di settore, influencer, blogger e comunque addetti ai lavori che ruotano attorno al vino. E quella di New York è la prima iniziativa di una serie di azioni che vedrà i vini premiati al concorso Sud Top Wine in giro per il mondo.
Ogni bottiglia dei vini delle aziende che hanno aderito a questa fase 2 avrà il suo piccolo adesivo che evidenzierà la conquista del premio. E per noi di Cronache di Gusto sarà un nuovo tassello per promuovere i vini di sei regioni d’Italia, ovvero Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia. “Il nostro obiettivo – dichiara Fabrizio Carrera, ideatore del concorso – è quello di sdoganare definitivamente nel mondo i vini di questa parte d’Italia che hanno tantissimo da raccontare e che non smettono di stupirci per piacevolezza e biodiversità”. Seguiremo anche sui social di Cronache di Gusto e su quelli di Sud Top Wine sia la mission negli Usa sia le varie iniziative che si susseguiranno.
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